Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri

CONGRESS ABSTRACT

CONGRESS ABSTRACT

P96

SINDROME CORONARICA ACUTA E KINK CORONARICO

A. Viele, A. Trivisonno, N. Porchetta, B. Cuzzola, G. Giannotti, A. R. Colavita
P.O. ANTONIO CARDARELLI, P.O. ANTONIO CARDARELLI, P.O. ANTONIO CARDARELLI, P.O. ANTONIO CARDARELLI, P.O. ANTONIO CARDARELLI, P.O. ANTONIO CARDARELLI

Il kink coronarico è una delle anomalie coronariche congenite, non legata a patologia del lume vasale. Spesso si associa a tortuosità coronarica (CAT) e displasia fibromuscolare.

Poco chiara è la patogenesi e le sue implicazioni cliniche. Si ipotizza che la presenza di un kink determini alterazioni del flusso coronarico che possono causare ischemia o addirittura sindromi coronariche acute. Si pensa che i kink coronarici possano essere anche causati dall’effetto di rettilineizzazione del vaso dopo passaggio con filo guida, ma non è sempre così.

Descriviamo il caso di una donna di 55 anni, con familiarità per CAD e sottoposta nel 2019 a chiusura percutanea di PFO.

La paziente accedeva in PS per dolore toracico irradiato al giugulo. L’ECG era normale, ma i valori di TnI erano lievemente aumentati (2,1 ng/ml), con  riscontro ecografico di ipocinesia dei segmenti medio-basali del setto anteriore. Veniva dunque ricoverata con diagnosi di angina instabile nel reparto di cardiologia e sottoposta a coronarografia urgente.

Ad un primo sguardo i rami coronarici non mostravano alterazioni aterosclerotiche o trombotiche significative. Ad una più attenta osservazione, però, si riscontrava un kink focale al tratto medio dell’arteria discendente anteriore. Questo kink determinava un inginocchiamento transitorio dell’arteria durante la sistole, con conseguente stenosi, che si risolveva in diastole.

La gestione dei kink coronarici è controversa. In passato alcuni studi suggerivano come migliore opzione il trattamento del kink con stenting coronarico. Sono stati descritti tuttavia casi di outcome non favorevoli, complicati ad esempio da shift del kink prossimalmente, con necessità di impiantare un ulteriore stent.

Si decideva dunque di trattare la paziente con terapia medica: veniva iniziato beta-bloccante con titolazione alla dose tollerata in aggiunta ad ACE-inibitore, ASA e statina. Non veniva preso in considerazione il posizionamento di stent per la possibilità di complicanze da shift (come descritto in letteratura) o da frattura dello stent.

Ad un mese di follow up la paziente si presentava asintomatica per angor, dispnea e cardiopalmo.

Anche se raramente il kink coronarico è una possibile causa di ischemia coronarica ed il suo trattamento è spesso discusso, sia per migliorare la qualità di vita del paziente che per prevenire possibili eventi avversi.Il kink coronarico è una delle anomalie coronariche congenite, non legata a patologia del lume vasale. Spesso si associa a tortuosità coronarica (CAT) e displasia fibromuscolare.

Poco chiara è la patogenesi e le sue implicazioni cliniche. Si ipotizza che la presenza di un kink determini alterazioni del flusso coronarico che possono causare ischemia o addirittura sindromi coronariche acute. Si pensa che i kink coronarici possano essere anche causati dall’effetto di rettilineizzazione del vaso dopo passaggio con filo guida, ma non è sempre così.

Descriviamo il caso di una donna di 55 anni, con familiarità per CAD e sottoposta nel 2019 a chiusura percutanea di PFO.

La paziente accedeva in PS per dolore toracico irradiato al giugulo. L’ECG era normale, ma i valori di TnI erano lievemente aumentati (2,1 ng/ml), con  riscontro ecografico di ipocinesia dei segmenti medio-basali del setto anteriore. Veniva dunque ricoverata con diagnosi di angina instabile nel reparto di cardiologia e sottoposta a coronarografia urgente.

Ad un primo sguardo i rami coronarici non mostravano alterazioni aterosclerotiche o trombotiche significative. Ad una più attenta osservazione, però, si riscontrava un kink focale al tratto medio dell’arteria discendente anteriore. Questo kink determinava un inginocchiamento transitorio dell’arteria durante la sistole, con conseguente stenosi, che si risolveva in diastole.

La gestione dei kink coronarici è controversa. In passato alcuni studi suggerivano come migliore opzione il trattamento del kink con stenting coronarico. Sono stati descritti tuttavia casi di outcome non favorevoli, complicati ad esempio da shift del kink prossimalmente, con necessità di impiantare un ulteriore stent.

Si decideva dunque di trattare la paziente con terapia medica: veniva iniziato beta-bloccante con titolazione alla dose tollerata in aggiunta ad ACE-inibitore, ASA e statina. Non veniva preso in considerazione il posizionamento di stent per la possibilità di complicanze da shift (come descritto in letteratura) o da frattura dello stent.

Ad un mese di follow up la paziente si presentava asintomatica per angor, dispnea e cardiopalmo.

Anche se raramente il kink coronarico è una possibile causa di ischemia coronarica ed il suo trattamento è spesso discusso, sia per migliorare la qualità di vita del paziente che per prevenire possibili eventi avversi.Il kink coronarico è una delle anomalie coronariche congenite, non legata a patologia del lume vasale. Spesso si associa a tortuosità coronarica (CAT) e displasia fibromuscolare.

Poco chiara è la patogenesi e le sue implicazioni cliniche. Si ipotizza che la presenza di un kink determini alterazioni del flusso coronarico che possono causare ischemia o addirittura sindromi coronariche acute. Si pensa che i kink coronarici possano essere anche causati dall’effetto di rettilineizzazione del vaso dopo passaggio con filo guida, ma non è sempre così.

Descriviamo il caso di una donna di 55 anni, con familiarità per CAD e sottoposta nel 2019 a chiusura percutanea di PFO.

La paziente accedeva in PS per dolore toracico irradiato al giugulo. L’ECG era normale, ma i valori di TnI erano lievemente aumentati (2,1 ng/ml), con  riscontro ecografico di ipocinesia dei segmenti medio-basali del setto anteriore. Veniva dunque ricoverata con diagnosi di angina instabile nel reparto di cardiologia e sottoposta a coronarografia urgente.

Ad un primo sguardo i rami coronarici non mostravano alterazioni aterosclerotiche o trombotiche significative. Ad una più attenta osservazione, però, si riscontrava un kink focale al tratto medio dell’arteria discendente anteriore. Questo kink determinava un inginocchiamento transitorio dell’arteria durante la sistole, con conseguente stenosi, che si risolveva in diastole.

La gestione dei kink coronarici è controversa. In passato alcuni studi suggerivano come migliore opzione il trattamento del kink con stenting coronarico. Sono stati descritti tuttavia casi di outcome non favorevoli, complicati ad esempio da shift del kink prossimalmente, con necessità di impiantare un ulteriore stent.

Si decideva dunque di trattare la paziente con terapia medica: veniva iniziato beta-bloccante con titolazione alla dose tollerata in aggiunta ad ACE-inibitore, ASA e statina. Non veniva preso in considerazione il posizionamento di stent per la possibilità di complicanze da shift (come descritto in letteratura) o da frattura dello stent.

Ad un mese di follow up la paziente si presentava asintomatica per angor, dispnea e cardiopalmo.

Anche se raramente il kink coronarico è una possibile causa di ischemia coronarica ed il suo trattamento è spesso discusso, sia per migliorare la qualità di vita del paziente che per prevenire possibili eventi avversi.Il kink coronarico è una delle anomalie coronariche congenite, non legata a patologia del lume vasale. Spesso si associa a tortuosità coronarica (CAT) e displasia fibromuscolare.

Poco chiara è la patogenesi e le sue implicazioni cliniche. Si ipotizza che la presenza di un kink determini alterazioni del flusso coronarico che possono causare ischemia o addirittura sindromi coronariche acute. Si pensa che i kink coronarici possano essere anche causati dall’effetto di rettilineizzazione del vaso dopo passaggio con filo guida, ma non è sempre così.

Descriviamo il caso di una donna di 55 anni, con familiarità per CAD e sottoposta nel 2019 a chiusura percutanea di PFO.

La paziente accedeva in PS per dolore toracico irradiato al giugulo. L’ECG era normale, ma i valori di TnI erano lievemente aumentati (2,1 ng/ml), con  riscontro ecografico di ipocinesia dei segmenti medio-basali del setto anteriore. Veniva dunque ricoverata con diagnosi di angina instabile nel reparto di cardiologia e sottoposta a coronarografia urgente.

Ad un primo sguardo i rami coronarici non mostravano alterazioni aterosclerotiche o trombotiche significative. Ad una più attenta osservazione, però, si riscontrava un kink focale al tratto medio dell’arteria discendente anteriore. Questo kink determinava un inginocchiamento transitorio dell’arteria durante la sistole, con conseguente stenosi, che si risolveva in diastole.

La gestione dei kink coronarici è controversa. In passato alcuni studi suggerivano come migliore opzione il trattamento del kink con stenting coronarico. Sono stati descritti tuttavia casi di outcome non favorevoli, complicati ad esempio da shift del kink prossimalmente, con necessità di impiantare un ulteriore stent.

Si decideva dunque di trattare la paziente con terapia medica: veniva iniziato beta-bloccante con titolazione alla dose tollerata in aggiunta ad ACE-inibitore, ASA e statina. Non veniva preso in considerazione il posizionamento di stent per la possibilità di complicanze da shift (come descritto in letteratura) o da frattura dello stent.

Ad un mese di follow up la paziente si presentava asintomatica per angor, dispnea e cardiopalmo.

Anche se raramente il kink coronarico è una possibile causa di ischemia coronarica ed il suo trattamento è spesso discusso, sia per migliorare la qualità di vita del paziente che per prevenire possibili eventi avversi.Il kink coronarico è una delle anomalie coronariche congenite, non legata a patologia del lume vasale. Spesso si associa a tortuosità coronarica (CAT) e displasia fibromuscolare.

Poco chiara è la patogenesi e le sue implicazioni cliniche. Si ipotizza che la presenza di un kink determini alterazioni del flusso coronarico che possono causare ischemia o addirittura sindromi coronariche acute. Si pensa che i kink coronarici possano essere anche causati dall’effetto di rettilineizzazione del vaso dopo passaggio con filo guida, ma non è sempre così.

Descriviamo il caso di una donna di 55 anni, con familiarità per CAD e sottoposta nel 2019 a chiusura percutanea di PFO.

La paziente accedeva in PS per dolore toracico irradiato al giugulo. L’ECG era normale, ma i valori di TnI erano lievemente aumentati (2,1 ng/ml), con  riscontro ecografico di ipocinesia dei segmenti medio-basali del setto anteriore. Veniva dunque ricoverata con diagnosi di angina instabile nel reparto di cardiologia e sottoposta a coronarografia urgente.

Ad un primo sguardo i rami coronarici non mostravano alterazioni aterosclerotiche o trombotiche significative. Ad una più attenta osservazione, però, si riscontrava un kink focale al tratto medio dell’arteria discendente anteriore. Questo kink determinava un inginocchiamento transitorio dell’arteria durante la sistole, con conseguente stenosi, che si risolveva in diastole.

La gestione dei kink coronarici è controversa. In passato alcuni studi suggerivano come migliore opzione il trattamento del kink con stenting coronarico. Sono stati descritti tuttavia casi di outcome non favorevoli, complicati ad esempio da shift del kink prossimalmente, con necessità di impiantare un ulteriore stent.

Si decideva dunque di trattare la paziente con terapia medica: veniva iniziato beta-bloccante con titolazione alla dose tollerata in aggiunta ad ACE-inibitore, ASA e statina. Non veniva preso in considerazione il posizionamento di stent per la possibilità di complicanze da shift (come descritto in letteratura) o da frattura dello stent.

Ad un mese di follow up la paziente si presentava asintomatica per angor, dispnea e cardiopalmo.

Anche se raramente il kink coronarico è una possibile causa di ischemia coronarica ed il suo trattamento è spesso discusso, sia per migliorare la qualità di vita del paziente che per prevenire possibili eventi avversi.