Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri

CONGRESS ABSTRACT

CONGRESS ABSTRACT

P339

PROTOCOLLO PER LA GESTIONE DELLO SHOCK CARDIOGENO IN UN CENTRO CARDIOLOGICO NON AD ALTO VOLUME

E. Biscottini, C. Andreoli, C. Tutarini, E. Quintavalle
OSPEDALE S. GIOVANNI BATTISTA- FOLIGNO-USL UMBRIA 2, OSPEDALE S. GIOVANNI BATTISTA- FOLIGNO-USL UMBRIA 2, OSPEDALE S. GIOVANNI BATTISTA- FOLIGNO-USL UMBRIA 2, OSPEDALE S. GIOVANNI BATTISTA- FOLIGNO-USL UMBRIA 2

Lo shock cardiogeno (SC) è una patologia con tassi di mortalità estremamente elevati, ma più bassi nei centri ad alto volume. La diagnosi precoce e l’eventuale trattamento intensivo sono essenziali ai fini prognostici. Nel nostro centro utilizziamo un protocollo per standardizzare la gestione del paziente in SC basato su: monitoraggio seriato di emogasanalisi arteriosa, pressione arteriosa invasiva, parametri emodinamici ecocardiografici; rivascolarizzazione in caso di ischemia acuta sottostante; ventilazione meccanica non invasiva; utilizzo di farmaci inotropi/vasopressori ed eventuale ricorso a supporto di circolo con contropulsatore aortico (IABP). Le scelte del clinico sulla base delle caratteristiche emodinamiche del paziente vengono così guidate e personalizzate al fine di ottenere una adeguata perfusione periferica. In caso di mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati per ciascun parametro, indice di persistenza di uno stato di shock con segni di ipoperfusione, il protocollo guida nella selezione dei pazienti con bassa probabilità di recupero precoce della funzione cardiaca ed in particolare quelli che, per età, comorbilità ed aspettativa di vita, devono essere centralizzati per ricevere un supporto con ossigenazione a membrana extracorporea veno-arteriosa come bridge a recupero, a trapianto o a device di assistenza ventricolare. La gestione dello SC nel nostro centro potrebbe giovarsi dell’utilizzo di Impella, un supporto di circolo avanzato che permette l’unloading diretto del ventricolo sinistro e quindi una più probabile stabilizzazione del paziente fino al trasferimento in un centro ad alto volume. Il IABP rappresenta, per centri come il nostro, la prima ed unica opzione nei pazienti in shock cardiogeno non responsivi ad inotropi e vasopressori. Tuttavia, a fronte di un effetto intuitivamente favorevole, le evidenze della letteratura che ne giustificano l’utilizzo sono scarse. Ottenere la stratificazione della gravità del paziente in modo preciso e tempestivo permette di non sottovalutare i segni di pre-shock, di evitare ritardi che possano favorire un ulteriore deterioramento delle condizioni emodinamiche e di centralizzare il paziente, nei tempi giusti, in centri ad alto volume, con personale esperto e dispositivi di assistenza multiorgano. Sarebbe auspicabile la creazione di una rete per lo SC sul modello di quelle già attive per il trattamento percutaneo dell’infarto miocardico, patologie con sopravvivenza “tempo-dipendente”.